Endodonzia e "devitalizzazione": sono la stessa cosa o no?

Sento usare spesso la parola devitalizzazione come cura di un dente che fa male. Che cosa significa? Che il mio dente poi sarà morto?

Risposta:

devitalizzazione termine improprio

Congratulazioni VIVISSIME: hai SALVATO il tuo dente!

Il messaggio qui riportato non è solo una provocazione: anche le radici “trattate endodonticamente” rimangono perfettamente vitali nel senso più pieno del termine! E non potrebbe essere altrimenti: se gli strati parodontali (vivi) di cui è fatta la radice fossero “morti”, l’organismo metterebbe in atto un riassorbimento da corpo estraneo. L’Endodonzia agisce solo all’interno, quando serve, disinnescando il serbatoio d’infezione causato dalle carie, irraggiungibile dalle difese dell’organismo, EVITANDO ACCURATAMENTE DI INTACCARE LO STRATO VITALE di cui l’intero apparato radicolare rimane sempre rivestito! È proprio grazie a questo che il dente mantiene la propria sensibilità tattile durante la masticazione, a differenza di quanto succede con gli impianti…

Gli “strati vitali” sono in realtà tre, detti nel loro insieme parodonto. Il primo è il cemento radicolare (mineralizzato, le sue cellule sono i cementociti, è lo strato duro più esterno della radice), c’è poi il legamento parodontale e infine l’osso alveolaredei mascellari.NOTA: con l’estrazione del dente questi tessuti vengono riassorbiti dall’organismo, compreso in gran parte l’osso che circondava le radici.

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Domanda: Ma allora un dente”devitalizzato” è come il discorso del bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno…

Risposta: Sì, ma l’Endodonzia consente di mantenere prima di tutto il bicchiere lì dov’è! Pensare poi che il dente rimanga biologicamente “vivo”, anche dopo la cosiddetta devitalizzazione, crediamo che sia una cosa bella di cui prendere coscienza. Sia per il paziente, sia per il dentista!

Storicamente, infatti, per un dente dolente c’è sempre stata un’unica e sola via praticabile: l’estrazione. Intesa come separazione-mutilazione da una parte “guasta” e sacrificabile, era una soluzione disperata quanto dolorosa in sé (gli anestetici e antibiotici sono a disposizione da relativamente poco tempo) e neanche facile tecnicamente.

I tentativi successivi di togliere solo il dolore, tenendo il dente, vennero realizzati tramite “devitalizzazione” della polpa irrimediabilmente infiammata mediante inserimento di veri e propri veleni (pasta arsenicale) o fissativi tossici (paraformaldeide). Ancora oggi questo tipo di intervento, benché obsoleto, è tutt’altro che scomparso, anche in Occidente.

La moderna Endodonzia interviene con strumenti e tecniche altamente sofisticati con l’obiettivo di decontaminare l’intero sistema canalare endodontico, in tutte le sue complessità anatomiche. Le soluzioni adottate (materiali innovativi per la riparazione delle perforazioni, strumentazione, detersione, materiali da otturazione, cementi, igiene e sicurezza mediante diga di gomma) sono all’insegna del rispetto dell’organismo del paziente, eliminando virtualmente tutti i rischi dei precedenti approcci storici. L’endodonto viene opportunamente sagomato, deterso e otturato nel modo più completo e preciso possibile al fine di rendere inerte biologicamente lo spazio prima occupato dalla polpa, quando purtroppo questa si è degenerata per carie o altre patologie o traumi.

 

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